Terra bruciata

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    In questa prima pagina della discussione troverete la copertina del racconto e la mappa del mondo fantasy, insieme al documento in pdf con la storia da scaricare.
    Nelle pagine successive della discussione vi sarà possibile leggere il racconto direttamente sul forum.
    Buona lettura!

    Copertina_terra_bruciata



    Mappa_Terra_bruciata



    Edited by Alaide - 27/6/2019, 12:42
    File Allegato
    Terra_bruciata.pdf
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    Capitolo I




    Nel castello si sentì un rumore di passi rimbombare per i lunghi corridoi scavati nella fredda roccia del castello di Etlia. Il rumore si fermò, una porta si aprì e, nella stanza dei combattimenti, entrò una ragazza magra e alta, dai lunghi capelli color blu profondo e dagli occhi azzurri: si chiamava Zagia ed era la figlia del re di Etlia.
    «Alla buon’ora!», disse una voce dall’interno della stanza.
    Era Fynn, un ragazzo petulante con cui Zagia era costretta ad allenarsi ogni giorno. Ci si allena per combattere, si combatte per vincere, questa era la dura realtà del Regno di Etlia e tutti dovevano imparare a tirare con l’arco, a usare la spada, a sapersi difendere perché tutti, prima o poi, avrebbero combattuto nella grande guerra, iniziata cinquant’anni prima contro il popolo di Lumini, il Regno della Luce, confinante con Etlia. Zagia scoccò a Fynn un’occhiata piena di odio e poi prese due bastoni, gliene lanciò uno e il combattimento ebbe inizio.
    Dopo qualche minuto Fynn era già a terra con la punta del bastone di Zagia vicinissima al naso. Proprio in quel momento la porta della stanza si aprì e la voce roca di una guardia disse:
    «La principessa è richiamata dal re.»
    Sorpresa Zagia seguì la guardia lungo i tortuosi corridoi del castello. Era sorpresa, sì, mai suo padre l’aveva convocata durante gli allenamenti, reputati da lui sacri. Passo dopo passo un timore le crebbe nel corpo. Aveva paura. Quelli non erano bei tempi e la convocazione di suo padre non era un buon segno. Appena entrata nella grande sala di pietra una voce piena e roca rimbombò.
    «Vieni avanti, figlia.»
    Zagia si fece coraggio e avanzò tra le tenebre.
    «Eccomi», rispose Zagia all’inquietante intimazione del padre.
    «Zagia, tu sai che ormai siamo in guerra da tanto e sai che dobbiamo vincere ad ogni costo; ebbene voglio che tu ti infiltri nel campo nemico come guerriera e che spii le loro mosse», continuò il re.
    Zagia era sconcertata. Non sapeva cosa dire. Doveva lasciare tutto. Dove era nata. Dove era cresciuta. Perché doveva lasciare tutto? Quanto odiava suo padre!
    «Se lo vorrete, eseguirò», rispose Zagia riluttante.
    «Bene, partirai oggi stesso», disse il re, emergendo dall’oscurità.
    Era un uomo pelato, ma aveva una barba lunga con due trecce che la seguivano sinuose. Dopo averne chiesto il permesso, Zagia si allontanò e furibonda si diresse nella sua stanza. Una volta arrivata, prese il suo arco, la faretra, il suo pugnale preferito, un paio di provviste e i vestiti. Con malumore e lacrime agli occhi chiamò il suo ermellino.
    «Martin, vieni fuori!»
    Un batuffoletto bianco e flessuoso uscì fuori da sotto il letto e si arrampicò svelto sul braccio di Zagia.
    Arrivata fuori dal castello, stringendo i denti, mise per terra Martin e, dopo aver fatto qualche passo, si voltò sospettosa: Martin era proprio dietro di lei, seguendola fedelmente.
    «No, Martin, vai! Non devi seguirmi!»
    Martin la guardò spiazzato, ma dopo poco si voltò e andò via. Zagia fece lo stesso, ma si bloccò di colpo. Aveva dimenticato il suo diario, nella fretta di prepararsi. Appoggiata la borsa, tornò rapida in camera e prese il piccolo libricino nero, pronta a partire.
    Non si voltò per dare un ultimo sguardo alla casa dove viveva quel mostro di suo padre. No, non si sarebbe voltata. Il suo passato nel castello non era stato felice: in tutta la sua vita non ricordava una volta in cui suo padre le aveva dato un segno di affetto, e, fin da quando aveva memoria, la sua tirannia l’aveva sempre terrorizzata. La sua unica consolazione era Martin, il suo bell’ermellino, che ogni volta le tirava su il morale e ora doveva lasciare pure lui, sì odiava suo padre, lo odiava con tutto il cuore.



    ***



    Il viaggio fu molto faticoso e si alternava tra sonno e dura camminata nell’infinito bosco che costeggiava il fiume Ür, la frontiera naturale tra il Regno di Etlia e il Regno di Lumini.
    Il bosco era pieno di pericoli, ma Zagia, abile com’era, riuscì a superarli tutti. Sembrava quasi una macchina pronta, anche se con malavoglia, a seguire sempre gli ordini del padre.


     
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    Capitolo II




    Dopo vari giorni di cammino, Zagia riusciva finalmente a scorgere in lontananza le baracche ammassate e i rigoli di fumo grigio che ascendevano al cielo. Si udiva un indistinto cozzare di spade, urla rozza ed un tanfo orribile.
    Arrivata sotto il cancello che apriva un varco in quel recinto di tronchi alti e appuntiti, Zagia porse una lettera di reclutamento con il nome di Yseult, non perché le piacesse particolarmente, ma fu il primo nome a balzarle in mente.
    Doveva riguardarsi particolarmente dallo svelare la propria identità e non dire inavvertitamente alcun dettaglio che potesse rivelare l’appartenenza al suo regno.
    Fece una smorfia alla vista della guardia, la quale era interdetta nel vedere di fronte a sé una donna e non un massiccio soldato.
    «Oh, un’altra donna», rise col suo compagno. «Sicura di esserne capace, dolcezza. Ti vedrei piuttosto come svago per gli annoiati soldati; in fondo quelle belle gambe sarebbero sprecate se finissero amputate…», si rivolse a Yseult con fare malizioso.
    Disgustata e furiosa, mostrando però la solita maschera di fredda impassibilità, sferzò un destro in piena faccia all’uomo e rivolgendosi all’altro chiese:
    «Abbiamo finito o il gentile signore vuole aggiungere qualcosa?»
    L’uomo, più impressionato che impaurito, si fece da parte e lasciò passare quell’enigmatica e misteriosa donna, che tutto sembrava tranne che una dolce creatura bisognosa di protezione.
    Il campo era una vera e propria città, organizzata in sotto-campi, uno per ogni squadrone, ma al posto di case in pietre e mattoni si ergevano rozze capanne con telaio in legno ricoperte da una sudicia garza. Yseult chiese indicazioni per localizzare il custode a cui chiedere quale sarebbe stato il suo sotto-campo.
    Entrò in una spoglia baracca di legno scuro, essenzialmente arredata, in cui prevalevano carte e scartoffie ordinatamente archiviate. Seduto sulla scrivania in mezzo alla stanza, vi era il custode, il volto grinzoso e appassito, segnato dal tempo, chino su un vecchio libro usurato.
    Sentendo l’uscio sbattere, alzò le sopracciglia cespugliose in un’espressione che subito si trasformò in sorpresa quando si accorse che la figura, che fendeva la luce proveniente dall’apertura della porta, non era il solito soldato che andava punito per cattiva condotta, ma neanche il cuoco che si lamentava delle scarse provviste, ma una bellissima donna.
    «Voi sareste…»
    «Yseult», rispose secca. «Sono qui per il reclutamento.»
    «Ah sì sì… non pensavo che avrebbero reclutato altre donne. Non ce ne sono mai state così tante», constatò il vecchio.
    «Quindi ci sono molte donne nell’esercito?»
    «No, no. Sono sempre una minoranza, molto piccola rispetto agli uomini, tuttavia questa maledetta guerra richiede molte risorse e neanche le donne sono esonerate. La maggior parte o è aiuto-cuoco o infermiera, ma ce ne sono anche che seguono l’addestramento e diventano veri e propri soldati», le spiegò il custode.
    Per Yseult tutto ciò rasentava l’assurdo. A Etlia la guerra non escludeva nessuno, uomini o donne che fossero, ed era assolutamente normale. Nonostante questi pensieri apprese di essere stata assegnata al settimo sotto-campo sotto il generale che rispondeva al nome di Umas. In un sotto-campo si addestravano e convivevano più squadroni. Per sapere quale fosse il suo, doveva chiedere al suo nuovo generale. Cercò di districarsi tra le puzzolenti vie fangose, facendo attenzione a non perdere la strada, cercando di seguire attentamente le informazioni fornite del guardiano. Si dovette comunque fermare a chiedere chiarimenti per riuscire a superare quell’ingarbugliato percorso. Arrivò finalmente alla tenda del generale ed una volta entrata le sue aspettative furono sorprendentemente deluse. Si immaginava un uomo alto e prestante, ma più che altro sembrava che faccia e corpo fossero state prese da due persone diverse e che avessero dato vita ad un essere robusto ma non più alto di 1,50 makorada, con una faccia marmorea e la mascella squadrata, seduto con fare fiero, intento ad analizzare una mappa con alcuni soldati di rango inferiore.
    «Permesso», chiese Yseult.
    «Chi siete?» disse lui, senza alzare lo sguardo.
    «Sono Yseult, la nuova recluta», rispose con voce attonita. «Sono qui per l’assegnazione dello squadrone.»
    Solo allora il generale alzò lo sguardo, scrutandola con una maschera di impassibilità.
    «Vediamo», grugnì l’uomo, consultando un voluminoso registro posto sulla scrivania. «Lo squadrone cinque è sotto di due persone… come te la cavi a cavalcare?», chiese poi riferendosi a Yseult.
    «Cavalco da quando sono al mondo, signore», rispose in modo asciutto lei.
    «E hai esperienza anche con grandi animali?», si informò.
    «Cacciavo, signore», ribatté Yseult.
    «Perfetto, il tuo quadrone è il numero cinque, sotto la coordinazione del comandante Tristan. Gli allenamenti iniziano tutti i giorni alle cinque in punto, questo è il tuo libro di Educazione Bellica, materia che affronterete tre ore a settimana. Questa è la tua divisa da campo», mentre parlava pareva un bambino che in modo annoiato ripeteva la lezione. Contemporaneamente fece cenno a un soldato di consegnare un fagotto a Yseult.
    Arrivata alla sua essenziale tenda, posò le sue poche cose. Posata la bisaccia e la borsa che si portava appresso, notò che quest’ultima si muoveva, come se prendesse vita. Era razionalmente impossibile. “Sarà sicuramente la stanchezza per il viaggio”, pensò. Ma improvvisamente la borsa si mosse ancora ed ancora. A metà tra l’incuriosito e il timoroso, aprì lentamente la morbida pelle di camoscio del bagaglio e, con sua grande sorpresa, vide un tenero musetto bianco che incorniciava due occhietti vispi e neri. Si dovette quasi trattenere dal fare salti di gioia. Era Martin, quasi non ci credeva!
    Subito dopo la assalì la paura di perderlo o che si facesse del male in quel campo di rozzi zoticoni sudati. Ma poi le sue ansie si placarono. In fondo il piccolo Martin sapeva badare a sé stesso. Appurato ciò, gli preparò una rudimentale cuccia e si diresse a presentarsi a questo fantomatico Tristan, il suo coordinatore.
    Non sapeva il perché ma sentiva che quell’individuo le stava antipatico a pelle. Sarà Sarebbe stato il solito bamboccio con la pappa sempre pronta, spocchioso ed acido. Immersa in questi pensieri, andò a sbattere contro ad un uomo alto e prestante. Subito dopo l’urto, si discostò facendo un passo indietro e l’indistinta figura esclamò:
    «Guarda dove vai, novellino!»
    Yseult squadrò meglio giovane contro cui il destino l’aveva mandata. Aveva i capelli castani che gli ricadevano morbidi sulle spalle ed era alto e tonico. Ma la particolarità che la colpì di più furono gli occhi: uno violetto, l’altro grigio costellato di pagliuzze dorate. Nella cultura di entrambi i regni si diceva che chi nasceva con gli occhi di colore diverso fosse il frutto di malvagi incantesimi
    Anche lui la guardò meglio, abbastanza colpito ed aggiunse:
    «Ah, ma sei quella nuova. Non si parla d’altro nel sotto-campo. Allora sei una donna come dicono. Piacere, sono Tristan…»
    Lei sussultò. Allora era lui il suo coordinatore.
    «Tu sei…», chiese poi il ragazzo, rivolto a Yseult.
    «Yseult.»
    «Ah, finalmente! Eravamo sotto numero da un bel po’…»
    Lei rimase ferma, immobile. Lo conosceva da pochissimo tempo e già non lo tollerava, ma qualcosa in lui la turbava, per quanto non riuscisse razionalmente a spiegare cosa. Diciamo che il sentimentalismo non era il suo campo.
    «Di certo non sei di molte parole… cosa c’è, il drago ti ha mangiato la lingua?» disse con leggerezza Tristan.
    «Ti trovi veramente simpatico?» rispose secca lei.
    «Dai, era solo per fare un po’ di conversazione… non te la sarai mica presa per una battuta…»
    Yseult era arrabbiata, quasi non ci credeva, ma come osava lui dire questo a lei: “non ti hanno insegnato l’educazione da piccolo?”
    «Scusa, non volevo offenderti. A dopo, ci vediamo a cena, Yseult!» disse, cortesemente il giovane.
    Yseult aveva paura che quella missione fosse più dura di quanto pensasse.

     
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    Capitolo III



    Nei giorni seguenti Tristan cercò molto di avvicinarsi a Yseult e, anche se veniva respinto con freddezza, riusciva sempre a trovare qualcosa di affascinante nel carattere di lei. I giorni passarono e il sentimento di Tristan cresceva sempre di più. Dall'altra parte, d’altronde, un avvicinamento si era notato, cosa che forniva molteplici speranze a Tristan, e quindi la possibilità per lui di abbandonarsi alle più profonde e spensierate emozioni. Ormai era completamente innamorato e lei lo attraeva come una falena è attratta dal fuoco.



    ***



    «Sveglia! Su! In piedi!», urlò l’allenatore, seguito da Tristan nella tenda di Yseult, che frettolosamente si svegliò e se preparò. Ormai si era abituata a svegliarsi sistematicamente con il vocione dell'allenatore che, con fare autoritario, ogni singolo giorno, la chiamava per il primo allenamento. Dopo la solita corsa, Yseult arrivò al tavolo della colazione ancora con le guance rosse e frizzanti.
    «Ragazzi, oggi non ci alleneremo come al solito. Faremo qualcosa… di diverso…», disse il ragazzo con un ghigno, incamminandosi seguito da tutti gli stupiti ragazzi.
    Dopo un po’ di tempo i ragazzi iniziarono a sentire degli strani ruggiti che, passo dopo passo, si facevano sempre più forti. A un certo punto, dopo aver girato dietro una tenda, davanti a loro si parò uno spettacolo fantastico: quattro draghi si aggiravano dentro a una gabbia enorme. Tutta la compagnia era sbalordita tranne l’allenatore che osservava le reclute con fare compiaciuto.
    «Oggi imparerete a volare, quindi avanti, cosa state aspettando?»
    I ragazzi si avvicinarono timidamente alla gabbia, osservando quelle magnifiche creature.
    «Allora… chi entrerà per primo? Yseult, vai tu», intimò l’insegnante.
    Yseult gli lanciò un'occhiataccia che egli le rimandò senza scrupoli. Dopodiché, Yseult si avviò verso la porta con un grande chiavistello a chiuderla. Con le mani appena tremanti, afferrò il chiavistello, lo spinse da parte ed entrò. Tutti i draghi, che in quel momento la stavano fissando, tornarono a oziare pacificamente, tanto che Yseult si tranquillizzò. Ma se lei era più calma, Tristan la guardava terrorizzato, perché sapeva cosa volesse dire domare un drago.
    Yseult aveva cominciato ad avvicinarsi i draghi. Tra i quattro che erano nella gabbia, ce n’era uno di taglia media, nero con riflessi verde-acqua. Le corna, la pancia e le zampe erano azzurre e, quando si muoveva, le scaglie sul dorso simulavano l'acqua che scorreva. Yseult decise che quello sarebbe stato il suo drago. Sicura si diresse verso la fine della gabbia. Arrivata davanti al drago, esso la guardò con palese indifferenza e si girò. Yseult era spiazzata, e voltandosi verso i ragazzi, che intanto stavano ridendo di gusto. Li guardò con aria interrogativa, notando che soltanto Tristan non rideva.
    «Riprova! Devi essere insistente, ficcati in testa che entro una settimana lo devi saper cavalcare!» la incoraggiò Tristan.
    Allora, svelta, Yseult salì con un agile salto sulla lunga coda del drago e, una volta in equilibrio, prese a percorrere l’escrescenza verso il dorso e la testa. Il drago però, che nel mentre si era accorto dell'agire di Yseult, muovendo appena la coda la fece cadere con un tonfo sordo. Dopo molti tentativi e molte cadute venne la sera e tutti erano riusciti nell’impresa.
    Tutti tranne lei.
    Nei giorni seguenti, Yseult non ebbe né pensieri, né tempo per altro. Si allenava dalla mattina presto sino alla sera tardi, quando tornava distrutta e aveva solo il tempo di annotare le cose fatte sul suo diario prima di sprofondare in un pesante sonno. Finalmente, dopo l'ennesima caduta fra tutte quelle subite in quattro giorni di prove, con un salto atterrò sulla sella. Da quel momento fu l'inferno: il drago continuò a dimenarsi nel tentativo di far cadere Yseult ancora una volta. D'altra parte, lei lottava per riuscire a domare quella bestia ribelle. Dopo poco il drago si arrese e pacificamente si sedette a terra.
    «Beh, sei alquanto indomabile… sì, ti chiamerò Nanakia. Sai, nella mia regione, in dialetto, significa furfante. Va bene, Nanakia, proviamo a volare.»
    A quelle parole una guardia di fianco alla gabbia azionò una leva che fece aprire il soffitto e Yseult e Nanakia partirono con un battito d'ali. Yseult si sentiva libera, non aveva vincoli, né lezioni o allenamenti. Erano solo lei e il suo drago che cavalcavano il vento con giravolte e picchiate. Da quel punto riusciva a vedere tutto: dai verdi boschi di Fiodh, fino alla sua terra. Dopo poco un particolare spaventoso la colpì: una scia nera di soldati, proveniente da Etlia si dirigeva lenta verso il fiume Ür, mentre stava trasportando un carico di armi. Il veleno della guerra si stava espandendo velocemente.
    «Nanakia, torniamo, dobbiamo avvertire gli altri.»
    A queste parole, Nanakia si buttò in picchiata verso il bosco, planando radente all'ultimo momento. Appena si trovò sulla gabbia, il tetto si aprì e loro due entrarono. Dopo essere scesa dalla sella, Yseult si accostò alla testa di Nanakia e dopo essersi guardate negli occhi per qualche secondo, le dette una carezza affettuosa prima di sparire nel buio della notte.
    «Ragazzi! Ho delle novità!»
    Dalle tende emersero i volti stanchi e sonnolenti dei sui compagni di squadrone Egos, Collin e Tristan.
    «Che c’è, Yseult? Stavo dormendo», disse Egos.
    «Anch’io sono curioso, spiega», disse una voce alle spalle di Yseult. Era il generale venuto per un'ispezione veloce.
    «Generale, buonasera, non l’aspettavamo…», disse Yseult disorientata.
    «Sì, stavo effettuando alcuni controlli nel vostro sotto-campo», rispose l'uomo.
    «Ad ogni modo, ero a fare un giro con Nanakia e… ho visto i nemici che avanzavano verso il fiume…», finì Yseult.
    «Quindi sei riuscita a domare il drago alla buon’ora. E com'è che l'hai chiamato?» chiese Egos.
    «Nanakia, ma non è questo l'importante! Hai un quoziente intellettivo pari a quello di una zanzara!» Rispose indignata Yseult.
    «Smettete di litigare, se Yseult ha ragione, si dovrà fare una spedizione d’assalto nella zona interessata. Preparate le vostre cose, provviste, armi e draghi e appena possibile partite alla ricerca di quello squadrone. Ormai siete pronti, dovete fare esperienza sul campo.»
    Prima di partire, Yseult scrisse tutti i pensieri che le erano passati per la testa sul suo diario: le ultime prove per domare Nanakia, la sua vittoria, il suo volo, lo squadrone di Etlia… a quel punto le venne una fitta al cuore: aveva tradito il suo popolo e non ci aveva nemmeno pensato. Era subito corsa a spiattellare tutto al generale come una stramaledetta spia.
    Per tutto il tempo dei preparativi rimase a rimuginare sui suoi pensieri, combattuta tra l'angoscia e un altro sentimento, più dolce, che le solleticava la mente.
    Prese arco, faretra e spada e, arrivata dagli altri, partirono tutti per le gabbie dei draghi.
    Una volta arrivati, tutti presero la propria sella ed entrarono nelle gabbie. Per un qualche sfortunato motivo a Yseult cadde la sella e si chinò per raccoglierla. Mentre la prendeva altre mani cercarono di aiutarla. Alzò gli occhi: era Tristan che lesto le porse la stella, e nel prenderla, le loro mani si sfiorarono. Arrossirono tutti e due.
    Una volta in volo, Yseult guidò gli altri nel punto dove aveva avvistato lo squadrone di Etlia. A un certo punto le frecce fischiarono accanto ai ragazzi. Preparati, si lanciarono in picchiata sull'obiettivo, ma Yseult esitò. Non voleva andare contro il volere di suo padre e non voleva tradire i suoi amici. In questo momento di esitazione diventò un bersaglio e venne colpita al costato. Svenne e cadde dal dorso di Nanakia. Tristan, che aveva visto tutto, si precipitò ad acchiapparla. La ragazza si riprese per qualche istante, rivedendo i magnifici occhi di Tristan, che la guardavano preoccupati prima di ricadere in un sonno profondo.

     
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    Capitolo IV




    Yseult si risvegliò ancora molto confusa. Sentiva una fitta fortissima al costato e, portandosi istintivamente una mano sulla ferita, si accorse di una fasciatura proprio in quel punto. Solo in un secondo momento si accorse che si trovava in una rudimentale tenda, stesa su una coperta di lana ruvida. Com’era finita lì? Davvero non riusciva a ricordare. Subito dopo essersi fatta questa domanda, ebbe un tuffo al cuore. Si ricordò di colpo dell’imboscata e di come si era procurata la ferita. Si diede in principio della stupida. Come poteva aver sbagliato in modo così banale, proprio non se ne capacitava. Provò ad alzarsi in piedi, ma subito ricadde sul letto. Non riusciva quasi a respirare dal dolore e anche il più piccolo movimento le procurava impulsi lancinanti che le percorrevano tutto il corpo.
    Faticando, raggiunse l’entrata e, anche se aveva ancora la vista annebbiata dal dolore, distinse le figure dei suoi compagni d’armi che si stagliavano contro la luce del fuoco del rudimentale accampamento. In un momento di debolezza, Yseult si appoggiò al palo della tenda e subito Tristan accorse ad aiutarla. Su di lei calò un velo di imbarazzo e farfugliò:
    «Ce la faccio da sola…»
    «Non mi sembra il momento di fare l’eroina», le disse il giovane con sincerità.
    La accompagnò a sedersi vicino al fuoco e le servì una ciotola di minestra calda. Collin chiese:
    «Come va la ferita? Ti fa ancora male?»
    «Sì, il dolore c’è ancora, ma raccontatemi di com’è andata a finire l’imboscata», gli domandò lei.
    «Alla fine è andato tutto per il meglio, siamo riusciti a prendere tutto il carico, che abbiamo riposto vicino ai draghi e abbiamo soppresso i due nemici!» Disse esultante Egos.
    «E come sta Nanakia?» li interrogò Yseult.
    Questa volta fu Tristan a risponderle.
    «Non ti preoccupare, è insieme ai suoi compagni. Ora non ci pensiamo più e brindiamo alla vittoria»
    Dicendo ciò diede un bicchiere a Yseult, e tutti insieme alzarono i boccali al firmamento, esultando.
    Quella sera, per la prima volta da molto tempo, troppo tempo, Yseult si senti finalmente viva. I canti, le risate, i giochi tutti accompagnati da generosi sorsi di birra.
    «Ehi, sapete che ho sentito delle voci sul re di Etlia», esclamò ad un certo punto Collin. «… come si chiama… Gwenole!» Yseult si irrigidì. «Si dice che abbia una figlia, Zagia penso, che tratta malissimo. L’ha mandata pure in guerra.»
    Yseult diventò pallida.
    «Sì, beh, io ho sentito che non ha un cuore e che sarebbe capace di uccidere tutti quelli che intralciano la sua strada», aggiunse Egos.
    «Piuttosto… beh… parlatemi ancora dell’attacco. Voglio sapere tutto», disse evasiva Yseult.
    E la sera continuò tra racconti e risate.
    Erano ormai passate le tre quando Collin e Egos si ritirarono. Yseult e Tristan rimasero soli, sotto un mare di stelle, riscaldati e illuminati dalle fiamme del fuoco.
    Il silenzio si ruppe da una frase inaspettata.
    «Grazie», era Yseult.
    «Scusa?» Si stupì lui.
    «Grazie per avermi salvata e medicata.»
    «Non c’è di che. È bello scoprire anche questo lato di te…», rispose.
    «In che senso, scusa?» Si bloccò lei.
    «La parte meno algida e chiusa. Ti alleni sempre e parli poco, invece stasera sembri un'altra persona», disse semplicemente Tristan.
    «Mi dispiace, Tristan, ma proprio non ti seguo», replicò Yseult.
    «Stasera sembri molto più a tuo agio del solito.»
    «Tu stai blaterando…»
    «No, sono serio… Seguimi, voglio mostrarti una cosa…»
    E così dicendo le prese la mano e la condusse all’interno del bosco. Dopo essersi districati tra dei sentieri tortuosi, arrivarono ad uno specchio d’acqua così limpido che sembravo uno squarcio di cielo.
    Tristan notò, però, che Yseult era particolarmente stanca, affaticata dal dolore procuratole dalla ferita e la fece sedere su un ceppo di legno.
    «Tutto a posto?» Le chiese in seguito.
    «Sì, sì non ti preoccupare, piuttosto perché mi hai portata qui?» Gli domandò lei.
    Tristan era consapevole dell’aria che quel posto, che tanto significato per lui, emanava.
    «È il mio posto speciale. Qua è come se il mondo dell’uomo non riuscisse ad arrivare. È un posto solo per gli esseri della foresta. La vedi quella quercia secolare laggiù? Ecco quella è l’anima della nostra isola. Volevo soltanto condividere questo segreto con qualcuno, ed ho scelto te», rispose Tristan.
    «È davvero magnifico! Non ho mai visto nulla di simile», disse stupita lei.
    Era la prima volta che Tristan notava gli occhi di Yseult brillare in quel modo. Era talmente bella sotto la luce fredda delle stelle, anche se provata dal dolore. Lui ruppe il silenzio.
    «Io non so praticamente niente di te, e pure ormai collaboriamo da un po’… Potresti dirmi qualcosa sul tuo passato.»
    «Non saprei cosa dirti, e poi non ne capisco il motivo…», rispose stranita lei.
    «Non lo so… potresti iniziare con qualcosa che ti piace, per esempio colore preferito, arma prediletta, il piatto che ti piace di più…», tentò lui.
    «Allora… Colore blu, spada e vado matta per i dolci.», Tristan non sapeva se per la birra o per l’atmosfera, ma lo colpiva la sua loquacità. «Tu invece… Cosa ti piace di più e costa meno del tuo lavoro?» Chiese Yseult.
    «Cosa preferita… l’amicizia, come quella che mi lega ad Egos e Collin, i draghi, la natura… Invece la cosa peggiore sono i pregiudizi… Avere due occhi diversi, i cosiddetti segni del male, non hanno certo agevolato la mia carriera militare», disse semplicemente lui. «E del tuo passato che mi dici?»
    Subito non diede peso al fatto che Yseult ci pensò un po’ troppo prima di rispondere, preso com’era dal momento.
    «Mio padre è un cacciatore ed un ex militare, vengo dall’est, sulle montagne. Sono cresciuta a guerra e battaglia tutto con una disciplina di ferro. Non ho mai conosciuto mia madre e l’unica cosa che io sappia fare è combattere tutto qui», tagliò corto lei, fin troppo sintetica. «Di te cosa mi racconti?» Aggiunse poco dopo.
    «Beh, la mia storia è un po’ più complicata… Tutto inizia qui, dove mi lasciarono i miei genitori, se così posso chiamarli, a causa dei miei occhi…», mentre pronunciava queste frasi gli offuscò lo sguardo un velo di malinconia. «Per fortuna che in questo albero abitano gli Zinthu, i custodi della saggezza del mondo conosciuto. Sono loro che mi hanno salvato, loro mi hanno introdotto alla letteratura, all’erboristeria, alle arti curative e soprattutto mi hanno accettato per quello che sono, un diverso. Sono stato in seguito affidato ad un ex generale che amo come un padre. Poi… sono finito qui.»
    Seguì un lungo silenzio, ma in fondo con cosa si poteva rompere? Quando l’imbarazzo si fece insopportabile Yseult disse, con parole sincere, cercando di consolare Tristan
    «Nessuno è diverso, ma ognuno è unico… O almeno così penso…», pensò a come suonassero strane e fuori luogo uscite dalla sua bocca, non era il tipo da lunghi discorsi era solo abituata a seguire gli ordini, fece una pausa poi aggiunse. «Mi sento patetica…».
    Lui la fissò dritta negli occhi, le prese timidamente una mano e le sussurrò in modo impacciato:
    «In realtà, ti trovo bellissima.»
    Lei era come ghiacciata. In diciannove anni nessuno le aveva mai detto nulla di simile.



    ****


    Erano passati circa tre mesi e Tristan e Yseult passavano sempre più tempo insieme, stringendo un legame ogni giorno più forte, nonostante la guerra si stesse facendo più intensa e gli attacchi più frequenti, e tutto questo metteva a dura prova il loro rapporto. Dal canto suo, Yseult si stava dimostrando una guerriera eccellente, impeccabile nella tecnica ed infallibile nel combattimento e stava entrando sempre più in sintonia con Nanakia.
    Stava inoltre mano a mano tagliando i rapporti con il padre dando notizie sempre generiche e rispondendo in modo evasivo ad i suoi reclami e sollecitazioni, finendo per tagliare completamente la comunicazione.
    Un giorno, dopo essersi allenati nell’arte della spada, Tristan dovette recarsi nell’alloggio di Yseult per mettere a posto la borraccia che gli aveva prestato. Quando fece per posarla sul suo pagliericcio, notò Martin e si chinò per accarezzarlo, all’interno della borsa di Yseult, posata sopra una cassetta di legno. Si accorse che l’animaletto era posto su un quaderno di pelle morbida. Non l’aveva mai visto prima, ma pensava non fosse così importante. Quando l’ermellino uscì dalla bisaccia, il volume cadde aprendosi al suolo.
    Subito Tristan si chinò per raccoglierlo. Scorse una parola: Zagia. Chiuse subito il quaderno.
    Non poteva essere vero.
    Conosceva solo una persona con quel nome e, sicuramente, non era una persona amica. Era la principessa del regno nemico, nota per la sua spietatezza e freddezza di cuore. Probabilmente aveva letto male, ne era sicuro.
    Voleva leggere di più, ma la morale glielo impediva. Eppure ne aveva bisogno, la sua coscienza pretendeva di sapere se la donna che amava lo avesse ingannato fin dall’inizio. Alla fine cedette e iniziò a leggere. Smise dopo le prime pagine. Era incredulo. Yseult, o meglio Zagia, aveva ingannato tutti dall’inizio.
    Si sentiva impotente e preso in giro. Cosa doveva fare? Lui amava quella donna con tutto il suo cuore, ma non aveva garanzie che questo sentimento venisse realmente ricambiato. Per quanto tempo voleva tenerlo nascosto? Si sarebbe presa gioco di lui ancora per molto? Non voleva cacciarla.
    Ma doveva.
    Anzi, avrebbe dovuto denunciarla e vederla impiccata o, peggio, bruciata sul rogo ardente.
    O potevo ucciderla di sua mano.
    No. Non avrebbe mai potuto farlo, perché si era innamorato di lei, o meglio, dell’impressione che gli aveva fatto.
    Scelse il male minore.
    Poco dopo, Yseult entrò nella tenda e vide lo sguardo sofferente e duro di lui. La ragazza capì che era venuto a conoscenza della verità.
    «Prima che tu possa dire qualsiasi cosa, sì, ero Zagia, figlia di Gwenole, re di Etlia. Ma Zagia è morta quella notte nel bosco. Ora sono Yseult. Capirò se mi vorrai ormai cacciare, non ti giudicherò, anche se avrei voluto che lo sapessi da me. Tutto quello che ho detto era reale e ho rotto ogni contatto con mio padre.»
    Lui era titubante, voleva crederle ma non ci riuscii e non sapeva come replicare. Alla fine disse semplicemente:
    «Per favore, vattene.»
    E colpita come da uno schiaffo Yseult se ne andò.

     
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    Capitolo V




    Yseult, totalmente addolorata se ne andò, senza portare nulla con sé per tornare nella sua patria. Aveva rubato Nanakia per andare via poiché non riusciva a separarsene. Non poteva crederci: in una manciata di minuti aveva perso tutto ciò che amava, e l’avrebbe rimpianto per tutta la vita. Non sapeva cosa fare. Tornare indietro? Oppure andare verso un’infelicità certa?
    La soluzione le venne in mente, mentre volava sopra quel tratto di bosco, dove Tristan era stato cresciuto dagli Zinthu.
    Sarebbe rimasta lì.
    Non aveva altra scelta.



    ***


    I giorni passarono lenti e Tristan, dopo un lungo periodo di indecisione aveva finito di leggere il diario e si era pentito di averla cacciata e di aver dubitato di lei. Ripensando a quello che le aveva detto non poteva che vergognarsi di sé stesso.
    Ma ormai era troppo tardi.
    E mentre i mesi scivolavano uno dietro l’altro, Tristan sentiva sempre più forte la mancanza di Yseult. Un giorno, nebbioso e grigio, venne chiamato dal generale. Per un istante credette che lei fosse tornata.


    ***



    Un giorno tormentato dalla furia del cielo, sei mesi dopo la sua partenza dall’accampamento, Yseult vide un intero esercito di Etlia avanzare nella foresta. Questo fatto le fece decidere più in fretta di quanto si aspettasse, ma non esitò un istante.
    Svelta si lanciò verso l’accampamento a tutta velocità:
    «Nanakia, forza, dobbiamo salvarli!»
    Tra il vento che la tempestava e le sue lacrime, non riuscire a pensare ad altri che a Tristan. Lo amava teneramente e solo allora capì, e disse a sé stessa, che avrebbe fatto di tutto per salvarlo, anche a costo di sacrificare la propria vita.
    La ragazza arrivò velocissima sopra il campo, ma con orrore, si rese conto che l’esercito lì era già passato. L’accampamento era in fiamme. Le capanne e le tende erano ormai macerie. Disperata, Yseult, si abbandonò alle lacrime. A quel punto un musetto chiaro uscì fuori dalla sua sacca. Martin, che l’aveva seguita quel giorno maledetto, si era arrampicato sulla spalla della giovane e in quel momento le stava leccando le lacrime dalla guancia. Dopo essersi asciugata il viso, ordinò a Nanakia di farla scendere a terra.
    Voleva trovare Tristan o almeno il suo corpo. Una volta scesa dalla sella si mise a correre, ansimando per il fumo. Vide alcuni cadaveri e due draghi morti, mentre cercava in ogni angolo del campo.
    Ormai era il crepuscolo, ma ancora nessuna traccia di Tristan. A quel punto capì che lui e gli altri sopravvissuti potevano essere scappati alla città più vicina per salvarsi.
    Senza pensarci due volte, saltò sul dorso del drago e volò il più velocemente possibile verso la città. Quando raggiunse le mura, Yseult saltò giù da Nanakia e corse verso la porta d’ingresso della città. Ripensandoci un attimo si girò, guardò Nanakia e Martin che l’aspettavano fiduciosi.
    «Tornata dagli Zinthu, tornate da Maya ne avrà bisogno.»
    Poi corse svelta al portone ed entrò. La città era deserta e la giovane si diresse correndo verso la piazza. E lì lo vide: Tristan era disteso nel bel mezzo della piazza, sanguinante. Yseult gli si gettò al collo e, con voce soffocata, Tristan disse:
    «Non… non ti ho… t... tradita.»
    Il suo corpo era irriconoscibile, completamente martoriato dai colpi delle pietre della lapidazione.
    «Chi? Chi ti ha fatto questo? E perché?» disse lei con la voce rotta dal dolore.
    «Me l’hanno fatto loro, perché… non ti ho denunciata… hanno trovato il diario… non l’ho distrutto… era tutto ciò che mi restava di te», ansimò lui.
    «Ti salverò io, ti porterò dagli Zinthu. Loro riusciranno a curarti…», gli disse la giovane disperata.
    «Shh, Non ti preoccupare, andrà tutto bene…», provò a consolarla Tristan.
    «Ti porterò da lei, da Maya, te la farò conoscere e la cresceremo insieme…», riparti lei.
    «Ma chi è Maya?» chiese Tristan.
    «Maya è nostra figlia. Quando me ne sono andata ancora non lo sapevo. L’ho partorita nel bosco, nel luogo che tu mi hai mostrato sotto le cure degli Zinthu, perché non me la sarei mai sentita di tornare da mio padre», spiegò lei.
    «Ma lei com’è? Parlami di lei!» implorò lui.
    «Ha i tuoi occhi, ride sempre ed è dolcissima. Non vedo l’ora di fartela conoscere…»
    «Anch’io non vedo l’ora… Scusa ho sbagliato a cacciarti, è tutta colpa mia…», sussurrò lui, guardandola negli occhi.
    Yseult tentò di sollevarlo, ma Tristan era sfinito e non riuscì a muoversi. La giovane lo riappoggiò dolcemente a terra.
    «No, non dire così… Ho sbagliato io a non dirti la verità, non ti preoccupare…», disse Yseult.
    «Ti amo…», bisbigliò Tristan.
    «Lo so», disse lei.
    Poi si scambiarono un dolce bacio.
    Proprio in quel momento delicato, un’ombra alle loro spalle si avvicinò minacciosa.
    Era Egos, con uno spadone imbrattato di sangue, incrostato dalle precedenti vite che si erano incrociate con quell’arma. Il volto trasformato dall’odio e dal senso di tradimento, egli si avvicinò sempre di più alla giovane ed ignara coppia.
    Alzò la spada al cielo e unì i due anche nella morte, urlando al vento:
    «Andate in malora, sporchi traditori!», e con un unico ed irreversibile gesto li trafisse entrambi.
    Tristan e Yseult giacquero così, uniti dall’arma sulla brulla terra della piazza e più le anime lasciavano il mondo terreno, più il loro sangue si mischiava alla polvere, creando un lago cremisi, sulla cui superficie giacevano i loro corpi senza vita. E quasi con ironia la vita, che li aveva appena fatti ricongiungere, scivolava loro via dopo quell’ultimo atto d’amore.
    Egos era invaso dal rimorso e mosso dalla prospettiva di finire in mani nemiche, estrasse un pugnale dalla cintura e se lo conficcò in gola. Tra fiumi di sangue, cadde a terra morente, udendo gli ultimi rumori della battaglia lontana.
    Quando l’esercito nemico riuscì a penetrare nella città, Gwenole, re di Etlia, raggiunse la piazza, mentre i soldati saccheggiavano la città. Il sovrano, vedendo il cadavere della figlia nelle braccia del nemico, la guardo con disprezzo e disse con tono brutale:
    «Date alle fiamme la città e tutti suoi abitanti, e fatene scomparire per sempre le tracce!»
    Dopo pochi mesi il regno di Lumini cessava di esistere, e tutto cadde sotto il dominio di Etlia.

     
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  7. Angela_B.
     
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    Buona la tensione narrativa, anche se si intuisce che il tempo é risultato insufficiente. Infatti troppi aspetti della vicenda restano abbozzati... così come la psicologia dei personaggi, che però risulta interessante. Decisamente da approfondire... perché non continuare... scrivere può diventare un hobby fantastico!!!
     
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6 replies since 4/6/2019, 20:06   49 views
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